A Torino, come nel capoluogo ligure, il primo lavoro che i migranti meridionali svolgevano si collocava, in genere, all’interno del campo dell’edilizia, dove effettivamente esisteva un’oggettiva carenza organizzativa delle forze sindacali dovuta […] alla dispersione e il frazionamento dei lavoratori in centinaia di piccoli e grandi cantieri e […] lo sforzo che i sindacati mettevano in opera era inadeguato.
[…] Il numero dei Meridionali iscritti alle organizzazioni dei lavoratori nel paese di origine era doppio rispetto a quelli iscritti a Torino. Addirittura, molti di coloro che non avevano rinnovato la tessera erano stati degli attivisti o impegnati in prima persona nell’organizzare numerose lotte sindacali. Del resto, la maggior parte provenivano da zone rurali e ancora gravava su di loro la sconfitta delle lotte per la riforma agraria.
Quel vasto movimento che, tra il 1943 e il 1953, aveva dato vita a occupazioni, scioperi a rovescio, manifestazioni di piazza, mobilitazioni vastissime durate per mesi, prima era stato attaccato tramite la repressione poliziesca, poi minato al suo interno con una parziale redistribuzione delle terre ed infine disperso costringendo tutti i protagonisti di quella stagione di lotte ad emigrare. Certo, erano stati sconfitti, ma rimanevano intimamente ancora legati a quelle battaglie passate, talvolta le ricordavano in modo epico, sapevano di resistenza e di entusiasmo, quasi di memoria collettiva condivisa, ma di sicuro erano lontanissime dalle loro prime esperienze torinesi. Molti ricordavano con orgoglio la combattività di allora, gli scioperi più duri, gli scontri con la polizia, i compagni feriti o, a volte, numero dei Meridionali iscritti alle organizzazioni dei lavoratori nel paese di origine, doppio rispetto a quelli iscritti a Torino. Addirittura, molti di coloro che non avevano rinnovato la tessera erano stati degli attivisti o impegnati in prima persona nell’organizzare numerose lotte sindacali.
Del resto, la maggior parte provenivano da zone rurali e ancora gravava su di loro la sconfitta delle lotte per la riforma agraria. Quel vasto movimento che, tra il 1943 e il 1953, aveva dato vita a occupazioni, scioperi a rovescio, manifestazioni di piazza, mobilitazioni vastissime durate per mesi, prima era stato attaccato tramite la repressione poliziesca, poi minato al suo interno con una parziale redistribuzione delle terre ed infine disperso costringendo tutti i protagonisti di quella stagione di lotte ad emigrare. Certo, erano stati sconfitti, ma rimanevano intimamente ancora legati a quelle battaglie passate, talvolta le ricordavano in modo epico, sapevano di resistenza e di entusiasmo, quasi di memoria collettiva condivisa, ma di sicuro erano lontanissime dalle loro prime esperienze torinesi. Molti ricordavano con orgoglio la combattività di allora, gli scioperi più duri, gli scontri con la polizia, i compagni feriti o, a volte, morti, gli assalti e gli incendi alle caserme, ai municipi, tutto era rievocato fin nei minimi particolari. Insomma, i Meridionali arrivati al Nord era gente semplice e poco scolarizzata, ma temprata dalle esperienze vissute in prima persona, in quel decennio, che aveva visto l’intero Sud sollevarsi e pretendere terra e libertà. La Storia li aveva sconfitti ma, in coloro che avevano vissuto quelle vicende, la voglia di lottare continuava a covare, indomita, come un fuoco pronto a riaccendersi. C’era anche chi diceva, con orgoglio, di essere stato arrestato o d’aver subito un processo, proprio perché portava avanti da protagonista quelle lotte.
Tratto da Candido N. (2017), “I Migranti Meridionali nel Nord italia, dal dopoguerra ad oggi“, pp. 160-161