Ma le storie della “corea” si intrecciavano con le vite e le vicende dei suoi abitanti, spesso provenienti da dimensioni spaziali e abitudini culturali completamente diverse, sebbene accomunati dall’assoluta determinazione di conquistare il proprio piccolo pezzo di felicità e il diritto ad un’esistenza dignitosa.
E’ emblematico lo scontro, con le autorità comunali di Carlo, 22 anni, meridionale, venditore ambulante. Egli voleva proseguire il lavoro del padre che gli garantiva un certo giro di vendite e, come lui, si sentiva perseguitato dai verbali dei vigili urbani che diventarono praticamente la sua ossessione e il simbolo di un’ingiustizia.
Da un mestiere di tipo libero, si reinventò come manovale, venditore volante di fiori, spugnaio, ma le multe si moltiplicarono e, ad un certo punto, divennero insostenibili spogliandolo, oltre che di un introito economico, anche dell’unico mestiere che riteneva di saper fare veramente e perciò della sua dignità di lavoratore e di uomo. E se in teoria il Comune avrebbe dovuto garantirgli un alloggio per le sue condizioni economiche e familiari, in pratica, per avere la casa, dovette occuparne una, illegalmente.
Quella di Carlo, è una storia emblematica, suo malgrado, della difficoltà dei migranti di inserirsi in un sistema di regole che non teneva conto dei nuovi cittadini e delle loro esigenze, la sua richiesta di licenza di ambulante infatti gli era stata rifiutata più volte dal Comune e dal Prefetto, a causa della sua giovane età. La sua testimonianza si concludeva con una frase, drammatica e lucida, che assegnava, in modo tristemente appropriato, un titolo alla sua storia: «La vita di un ambulante povero».
Tratto da Candido N. (2017), “I Migranti Meridionali nel Nord italia, dal dopoguerra ad oggi“, pp. 130-131