Gli immigrati che arrivavano dal Sud, diversi per aspetto fisico, abbigliamento, modo di parlare o di interagire, pieni di valigie e di qualsiasi cosa fosse possibile portarsi dietro, apparivano agli occhi degli abitanti del Nord come dei profughi; esuli di un esercito straccione che aveva perduto una guerra.
Ed in fondo era vero, i Meridionali avevano perso, erano stati sconfitti dalle logiche della realpolitik dei governi italiani e dalla situazione internazionale che aveva una sola parola d’ordine: sconfiggere il comunismo e tutti coloro che a quell’idea, seppur vagamente, si rifacevano nelle proprie rivendicazioni di giustizia sociale.
Così, simili ai profughi e agli esuli coreani che in quegli stessi anni lasciavano le proprie terre in balìa della guerra e della medesima politica internazionale, quella massa di contadini, di braccianti, di giovani alla ricerca di un futuro migliore, di Terroni, arrivarono al Nord in veste di rifugiati in Patria.
E quasi per logica conseguenza a Milano i quartieri dove in costruzioni precarie, improvvisate, disordinate, si stabilirono, vennero chiamate “Coree degli immigrati”, un neologismo coniato dal sentire popolare, ma segno di una diversità avvertita in modo forte dai residenti.
Tratto da Candido N. (2017), “I Migranti Meridionali nel Nord italia, dal dopoguerra ad oggi“, pp. 94-95